Discorso sullo stato dell'Unione 2016

Strasburgo, 14 septembre 2016

Signor Presidente,

Onorevoli deputati del Parlamento europeo,

Un anno fa mi sono presentato a voi e vi ho detto che lo stato della nostra Unione non era buono. Vi ho detto che non c’è abbastanza Europa in questa Unione. Vi ho detto che non c’è abbastanza Unione in questa Unione.

Non intendo oggi presentarmi a voi e dirvi che tutto va nel migliore dei modi.

Non è così.

Dobbiamo tutti essere molto onesti nella nostra diagnosi.

La nostra Unione europea sta vivendo, almeno in parte, una crisi esistenziale.

Nel corso dell’estate ho ascoltato con attenzione quello che avevano da dirmi i deputati di questo Parlamento, i rappresentanti dei governi, i molti parlamentari nazionali e i normali cittadini europei.

Sono stato testimone di molti decenni di integrazione europea. Molti sono stati i momenti forti. Molti sono stati, ovviamente, anche i momenti difficili, e i momenti di crisi.

Ma mai prima d’ora ho visto così poca intesa tra i nostri Stati membri. Così pochi settori in cui sono disposti a collaborare.

Mai prima d’ora ho sentito così tanti leader parlare unicamente dei loro problemi interni, senza menzionare l’Europa o citandola solo di passaggio.

Mai prima d’ora ho visto i rappresentanti delle istituzioni dell’UE definire priorità completamente diverse, talvolta in aperto contrasto con i governi e i Parlamenti nazionali. È come se non vi fosse più alcuna interazione tra l’UE e le sue capitali nazionali.

Mai prima d’ora ho visto i governi nazionali così indeboliti dalle forze del populismo e paralizzati dalla paura della sconfitta alle prossime elezioni.

Mai prima d’ora ho visto così tanta frammentazione, e così poca condivisione nella nostra Unione.

È tempo di fare una scelta importante.

Vogliamo scegliere di abbandonarci ad un sentimento di frustrazione, che può essere naturale? Vogliamo permetterci di cadere collettivamente in depressione? Vogliamo consentire che la nostra Unione si disgreghi davanti ai nostri occhi?

O dovremmo piuttosto chiederci: Non è questo il momento di riprendere coraggio? Non è questo il momento di rimboccarci le maniche e raddoppiare, triplicare i nostri sforzi? Non è questo il momento in cui l’Europa ha bisogno più che mai non di politici che abbandonano la nave ma di una leadership che mostri determinazione?

Le nostre riflessioni sullo stato dell’Unione devono iniziare con senso di realismo e con grande onestà.

In primo luogo, dovremmo ammettere che in Europa abbiamo molti problemi irrisolti. Su questo non ci sono dubbi.

Dagli elevati livelli di disoccupazione e di disuguaglianza sociale alla massa ingente di debito pubblico, dall’enorme sfida dell’integrazione dei rifugiati alle minacce più che concrete alla nostra sicurezza interna ed esterna: ogni singolo Stato membro è stato colpito dalla perdurante crisi che caratterizza i nostri tempi.

Siamo persino chiamati a dover far fronte alla prospettiva poco felice dell’uscita dai nostri ranghi di uno di noi.

In secondo luogo, dovremmo essere consapevoli che il mondo ci guarda.

Sono appena tornato dal vertice del G20 in Cina. L’Europa occupa ben 7 posti al tavolo di questo importante consesso mondiale. Nonostante la nostra forte presenza, le domande sono state più numerose delle nostre risposte comuni.

L’Europa sarà ancora in grado di concludere accordi commerciali e di definire le norme economiche, sociali e ambientali per il mondo?

L’economia europea potrà finalmente imboccare la strada della ripresa o invece è condannata anche nel prossimo decennio a bassi livelli di crescita e di inflazione?

L’Europa rimarrà leader mondiale nella lotta per i diritti umani e i valori fondamentali?

L’Europa riuscirà a parlare con una sola voce, quando è minacciata l’integrità territoriale, in violazione del diritto internazionale?

O invece l’Europa sparirà dalla scena internazionale e lascerà che siano gli altri a dare forma al mondo?

So che voi in quest’Aula sareste quanto mai disposti a dare risposte chiare a queste domande. Ma dobbiamo anche fare in modo che le parole siano seguite dall’azione comune. Altrimenti rimangono quello che sono: parole. Solo con le parole non è possibile definire le questioni internazionali.

In terzo luogo, dovremmo ammettere che non possiamo risolvere tutti i nostri problemi con l’ennesimo discorso. Con l’ennesimo vertice.

Qui non siamo negli Stati Uniti d’America, dove il Presidente pronuncia il discorso sullo stato dell’Unione dinanzi a entrambe le Camere del Congresso e milioni di cittadini seguono in diretta televisiva ogni sua parola.

Al contrario, qui in Europa il discorso sullo stato dell’Unione mostra molto chiaramente il carattere incompleto della nostra Unione. Oggi sono qui a tenere il mio discorso dinanzi al Parlamento europeo. E venerdì incontrerò separatamente i leader nazionali a Bratislava.

Per questo il mio discorso non può puntare soltanto a ottenere il vostro applauso, ignorando quanto i leader nazionali diranno venerdì. Nè posso andare a Bratislava con un messaggio diverso da quello che oggi condivido con voi. Devo tener conto di entrambi i livelli di democrazia della nostra Unione, entrambi egualmente importanti.

Noi non siamo gli Stati Uniti d’Europa. La nostra Unione europea è molto più complessa. E ignorare questa complessità sarebbe un errore che ci porterebbe a soluzioni sbagliate.

L’Europa può funzionare solo se i discorsi a favore del nostro progetto comune sono pronunciati non solo in questa onorevole Aula ma anche nei Parlamenti di tutti i nostri Stati membri...Leggi tutto

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